Open, di Andre Agassi
2013
Non avrei letto questo libro che parla di tennis, sport che amo visceralmente, se non avessi letto in rete la solita bellissima recensione di Viv (http://stravagaria.wordpress.com/2013/08/20/open/), che non è certo un’appassionata di sport. Ho fatto bene a leggerlo, e penso che tutti potrebbero apprezzare questo libro, a prescindere dal fatto di essere interessati al tennis. Open mi ha indotto a pormi un paio di domande, che forse sono inutili perché non hanno una risposta precisa e non cambiano la sostanza delle cose: ma tant’è mi frullano nella mente. La prima: quanto c’è di vero, e quanto di inventato, o perlomeno di molto rielaborato, nel racconto di Agassi? Certo, episodi precisi sono certamente veri: da questo punto di vista gli americani sono maniacali, quindi nessuno spazio per la fantasia. Ma quando si parla di emozioni e ricordi? Quanto la descrizione minuziosa delle sensazioni provate il giorno di una finale importante di uno Slam sono davvero quello che lui ha provato quel giorno preciso? Dicevo che la domanda è almeno in parte oziosa, perché ogni giorno che passa sono sempre più convinto che quelli che noi riteniamo ricordi precisi e puntuali di tante cose del nostro passato sono in realtà rielaborazioni più o meno inconsce della nostra mente, del nostro io profondo, di cui nulla sappiamo. In questo caso però, quando viene scritto un libro, con la chiara intenzione di farne un successo mondiale, può venire più di un sospetto che la descrizione di certe emozioni sia anche in parte studiata a tavolino. L’unica risposta possibile, a mio avviso, è che in fondo tutto questo non interessa; Andre questo ci racconta, noi prendiamolo per quello che ci vuole raccontare, senza stare troppo ad arzigogolare se ci stia raccontando qualcosa in cui crede davvero. Anzi, il discorso potrebbe essere portato anche più avanti, in quanto persino i nostri ricordi del passato spesso vivono su rielaborazioni, fatte in perfetta buona fede, ma che probabilmente possono anche stravolgere fatti e sentimenti lontani. Per esempio questo a me capita spesso quando si ricorda qualcuno che non c’è più. Non solo sensazioni, persino episodi vengono in buona fede descritti molti diversamente da persone differenti. La seconda questione, per la quale alla fine la risposta è la stessa: chi ha scritto il libro? Avendo l’abitudine di pubblicare ogni tanto qualcosa, cerco quando leggo di mettermi nei panni dello scrittore (e la cosa a volte è anche divertente). Leggendo Open ho provato a volte un po’ di disagio perché mi si poneva con forza la questione su chi stavo leggendo: chi era colui o colei che aveva davvero scritto quelle parole? Per calmare la mia ansia di risposte me ne sono data una, che ritengo verosimile, ma che forse non ha grandi probabilità di essere vera… Dunque, certamente è stato fatto il lavoro, descritto da Agassi, di ore e ore di dialoghi tra lui e il premio Pulitzer Moehringer. I contenuti del libro nascono indubbiamente da qui. Questi dialoghi sono stati certamente registrati, e qualcuno, né Agassi né Moehringer (sempre secondo me), li ha trascritti su carta: il famoso ghost writer, più o meno. Dopo di che Moehringer ci deve aver messo il suo tocco di Premio Pulitzer, e già che ci siamo possiamo ipotizzare che Agassi abbia dato una rilettura al tutto.
Ma tutto questo è arredamento, perché in fondo quel che conta davvero è quel che si legge.
E, come dicevo, questo è un libro che val la pena leggere. Perché è ben scritto e perché parla di un personaggio che anche fuori del tennis è certamente di spessore, nei suoi pregi e nei suoi difetti. Insomma c’è sostanza dal punto di vista letterario, e c’è nella storia che viene raccontata. L’aspetto che forse mi ha meno convinto, ma che non mi ha stupito affatto di trovare, è l’analisi psicologica di tante situazioni e stati d’animo. L’odio di Andre per il tennis è spiegato benissimo e (forse troppo) diffusamente. Molto meno che cosa lo ha spinto a diventare il numero uno. I suoi fratelli/sorelle avevano lo stesso padre, non basta il talento per giustificare che solo lui sia diventato Agassi , ci deve essere stato dentro di lui qualcosa in più, che non ho trovato raccontato nel libro. E poi il rapporto con le donne della sua vita, specialmente le mogli. Elegante, mi pare, il modo in cui ha raccontato la storia con Brook Shields, soprattutto la fine della storia è riportato senza cadute di stile; elegante il racconto del suo rapporto con la Streisand, un po’ troppo mieloso invece quel che dice di Steffy Graf, soprattutto all’inizio.
Per concludere, notevole e ammirevole quel che ha fatto e sta facendo per la Andre Agassi College Preparatory Academy.
Non posso non aggiungere, però, che preso da frenesia per biografie di sportivi, e probabilmente a causa di un’offerta di Amazon, mi sono anche letto “ Penso quindi gioco” di Andrea Pirlo, scritto con (da?) Alessandro Alciato. Ecco,anche se AA mi sembra un bravo ragazzo e mi fa tenerezza quando parla infreddolito da qualche stadio per Sky, direi che il contributo più interessante del libro è aver saputo quante volte andava al gabinetto Pippo Inzaghi prima di una partita.
Mi fa piacere che non ti abbia deluso
Questo libro mi sta ricorrendo, di blog in blog, di collega in collega, da amica a amica. Ormai mi tocca, devo leggerlo. L’ho già anche caricato sul mio reader, mi basta solo aprirlo.
Ciao!