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SOCRATE, PER ESEMPIO

Dopo aver comprato Didone per esempio, scoperto in quanto messo in offerta come ebook su Amazon, ovviamente mi sono incuriosito per l’uscita di Socrate per esempio, e ho cominciato ad aspettarlo pazientemente in ebook. Il libro in formato elettronico non arriva, ma Babbo Natale tra i doni mi ha fatto trovare anche il Socrate carteceo. Così me lo sono letto in formato tradizionale, e va bene lo stesso, anche se dopo essere stato parecchio riluttante a iniziarmi all’ebook ora sono molto più contento di utilizzarlo, e una delle ragioni preferite è che nell’ ebook posso evidenziare senza alterare il prodotto, mentre sottolineare in un libro per me  è sacrilego….

Dunque, che dire di questo libro? In sintesi: leggetelo! Provo a elencare qualche motivo per convincervi a farlo. Prima di tutto, l’autrice scrive benissimo. Questo non è un pregio da poco… a volte si leggono storie ben confezionate ma scritte piuttosto male, e si perde tutto il piacere di leggerle. Seconda ragione: è evidente che l’autrice ama il mondo che racconta, ne è rapita, ci si immerge completamente. Questo non è sempre garanzia di un bel libro, ma il terzo motivo fa squadra col secondo, per cui insieme si esaltano. E il terzo motivo è che pur così appassionata di quel mondo, l’autrice vive, e vive intensamente, nel mondo di oggi. E quindi il suo è un racconto moderno, pur parlando di cose antiche. Forse qualche studioso potrebbe storcere il naso di fronte alla storia e alla filosofia raccontate così, ma io che non sono uno studioso trovo questa commistione a tratti irresistibile. La storia della filosofia diventa così un racconto, un racconto in cui a volte ci si diverte talmente da pensare che anche se quel che viene raccontato fosse in parte romanzato (cosa non vera), sarebbe godibile lo stesso.

E così scopriamo un Tucidide, detto occhio di Dio, totalmente inedito, almeno frugando nella memoria dei libri del Liceo, o un Socrate davvero sorprendente, come si capisce da un paio di frasi che lo riguardano:

Aristofane, nelle Nuvole, e peggio ancora Eupoli, nelle sue commedie, tratteggiano questo Socrate arruffone, un po’ scienziato pazzo un po’ venditore di fumo, simile alle tante Wanna Marchi della filosofia che impestavano Atene e spillavano soldi alla gioventù.

 

Viene anche definito un genio della propaganda, che …  aveva cominciato la sua carriera di intellettuale, chiacchierando e spesso cazzeggiando come si fa alle cene, dove i discorsi frivoli si mescolano ai grandi interrogativi della vita.

Il linguaggio, a volte disinvolto (vedi il cazzeggiando di sopra oppure quando parla, a proposito di Tucidide, di quegli scrittori terribilmente stronzi), non  scade mai nel modernismo sgangherato, ma al contrario è sempre calibrato e naturale, un altro aspetto da tenere presente.

Forse il Didone, che ci presenta una galleria di personaggi, è maggiormente godibile, per  conoscere l’autrice, ma nulla vieta di leggerlo prima, no?

In conclusione, leggere questo libro è un’ottima idea. Vi ritroverete personaggi che sono scolpiti nella memoria, perché li avete incontrarti la prima volta nell’adolescenza e, seppure magari con poca voglia di studiare, non possono non avervi sedotti con le loro teorie che per certi versi possono sembrare ingenue, ma che in realtà rappresentano i fondamenti del pensiero occidentale, quindi del nostro pensiero. E tutto questo è raccontato in modo così accattivante, che non c’è proprio nessun problema a perdonare all’autrice le sue idee davvero stravaganti sul concetto di pari e dispari, e il suo inganno, certamente voluto, sull’uso del nome di numero irrazionale.

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Play

Questo libro mi viene proposto come offerta del giorno da Amazon, ed è ovvio che non ho scelta. Un giallo-noir, per di più ambientato nel mondo dello sport che, per certi versi, amo di più, almeno dal punto  di vista estetico (il derby Cantù Milano mi porta a livelli di ansia simili a Genoa Sampdoria). Dunque non ho nessun dubbio a buttarmi nella lettura. Oltre a tutto  amo la giallistica italiana, per un motivo banale. Almeno in questi gialli riesco a evitare grottesche confusioni tra i personaggi, cosa impossibile quando, ad esempio, devi distinguere tra Magnusson, Larsson, Landqwist e amenità simili. Dunque sono ben predisposto alla lettura. E in effetti la scrittura scorre veloce e la vicenda si dipana senza troppi intoppi, anche se devo ammettere che il diario scritto al presente di una persona che è morta tutto sommato non mi convince granché. L’autore indulge anche a certe cose alla moda, soprattutto in storie di questo tipo. Ad esempio, la compiaciuta competenza enologica (questa dalla biografia credo effettiva e non millantata). La storia, di cui come al solito non parlo, tutto sommato scivola via, anche se non avvince.  Ma non sono questi i problemi. Il primo problema, un editing troppo poco accurato. Un esempio? Possibile che l’unica citazione in Inglese contenga un errore banale? Qua e là poi ci sono sgrammaticature e in ogni caso si vede che né l’autore né alcuno in casa editrice si sono dati la briga di rileggere accuratamente, cosicché qua e là si ha l’impressione di un copia incolla mal riuscito, all’interno di una frase. Quello che però mi ha definitivamente alienato ogni simpatia nei riguardi del libro e dell’autore è che, almeno l’edizione Kindle, contiene un ingiustificato, demagogico, insulso pistolotto social-politico di cui non si sentiva davvero nessun bisogno. Sono davvero stufo di queste analisi superficiali, di queste sterili prese di posizione intellettualoidi in cui si riesce a dimostrare che tutto va a rotoli, che qualcuno è il Male (indovinate un po’ che…), senza nemmeno un accenno di una proposta… e questo alla fine di un libro? Forse per contratto l’autore aveva bisogno di raggiungere un certo numero di bytes?

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Biglietto signorina

Biglietto, signorina, è un altro dei tantissimi libri di Vitali che parlano del mondo in cui lui geograficamente vive, e cioè la riva orientale del lago di Como, ramo di Lecco. Tutti i suoi libri hanno gli stessi ingredienti, e gli stessi copioni. Sono piacevoli da leggere, strappano sempre  sorrisi, sono divertenti e si leggono con leggerezza, il che con lui non significa mai, o quasi mai, superficialità. Direi che dai suoi libri si capisce che fa il medico condotto, per come racconta le cose e la gente:  come uno spettatore che vede, osserva e  impara a non giudicare, almeno pubblicamente.  Disincantato ma non cinico. E anche qui si diverte a esercitare la sua ironica  fantasia con i nomi dei personaggi  (anche se in altri libri ho trovato di meglio: la perpetua Scudiscia rimane imbattibile, il solo nome ti rende solidale e simpatico col suo parroco!). Detto questo, forse i libri di Vitali-chissà, forse tutti i libri- vanno letti nel momento giusto. Forse Vitali è adatto a un momento in cui si ha voglia di rilassarsi, in modo intelligente, durante una vacanza per esempio. Ho letto invece quest’ultimo in un periodo molto intenso, e riscoprire le solite simpatiche vicende raccontate con molto garbo mi ha fatto sì ricordare che queste cose mi piacciono, ma non mi ha dato nessuna emozione, stavolta. Per questo non riesco nemmeno a dire se questo libro mi sembri più o meno bello di altri. Ci trovo Vitali, credo che chi ama leggerlo non ne rimarrà deluso, ma forse lui, più ancora di altri autori, va centellinato e letto nei momenti giusti.

 

 

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Per dieci minuti   La scrittura, per Chiara Gamberale, è chiaramente un’attività maniaco-compulsiva. Nonostante dica/scriva che spesso è in crisi creativa, in realtà inonda le librerie dei suoi libri… Beh, esistono manie peggiori, e anche meno redditizie. Questo breve romanzo, che era l’ultimo suo (almeno credo) quando l’ho cominciato, certamente non l’ultimo quando l’ho finito (è uscito un suo libro con Gramellini, entrambi nello stesso libro sono indigeribili per me, non lo leggerò), trae spunto da un fatto evidentemente autobiografico, anche se presumibilmente poi c’è anche invenzione letteraria. Chiara è maestra nel narrare la quotidianità, anche quando sfocia nel banale, e nel fare di episodi della vita, anche i più minuti, spunto per un romanzo. E così troviamo sms e twit che costruiscono un libro, o liste della spesa che ne portano via la metà. Questa volta lo spunto viene da una prescrizione che la psicologa le dà, in un momento molto complicato della sua vita (credo che di semplici ce ne siano pochi, nella vita di CG). Si tratta di fare per un certo periodo, tutti i giorni, dieci minuti di cose insolite, mai fatte prima. Devo ammettere che questo incipit mi ha incuriosito non poco. Per capirlo, devo narrare l’antefatto. Parecchio tempo fa ho sofferto di tachicardie e altre amenità varie,  che poi ho scoperto essere attacchi di panico. Contrario da sempre a terapie psicologiche tradizionali, ho accettato, dopo aver parlato con un dottore in gamba (il pediatra dei miei figli!) di fare una terapia psicologica breve: otto sedute. Devo dire che da lì il mio modo di pensare è parzialmente cambiato, perché è così che ho scoperto il costruttivismo (anche in matematica), passione intellettuale che mi accompagna ancora adesso; La realtà inventata è uno dei miei libri cardine, P. Watzlawick uno dei miei miti. Ebbene, questa terapia breve prevedeva espressamente una mezzoretta per sera dedicata a pensare cose  particolarmente strane, anomale. Ogni volta il compito era diverso, e devo dire che, come Chiara, l’ho sempre puntigliosamente portato a compimento, con una eccezione: un giorno ho sostituito il compito assegnatomi con quello di svuotare il tombino sotto casa. Magari è una storia che scriverò per me un’altra volta, certo anche questa è stata un’esperienza molto particolare, che tra l’altro è piaciuta enormemente al dottore, che ha deciso di introdurre nella terapia anche la mezzora del tombino. Ma torniamo a Chiara, e al suo libro. E’ evidente che l’ho letto con grande curiosità, visto l’antefatto. E’ anche evidente che il mio giudizio sul libro non può essere asettico, proprio per quel che ho raccontato prima. Per cui faccio mio, ancor più rapidamente del solito, il giudizio di Stravagaria, che, vedi il suo blog, dice che come romanzo è deboluccio. Ma l’ho letto volentieri, spinto appunto dall’analogia con la mia esperienza. E a questo, che non è un giudizio di merito, mi fermo, dal punto di vista del libro. Voglio però concludere con un’osservazione su uno dei fatti cardine di tutta la storia (vera, nella sua essenza, credo) raccontata da Chiara: il rapporto con il marito, sfociato nella separazione con lui, dovuta a una sua fuga, e dal tentativo di riavvicinamento, sempre da parte del fuggiasco, da lei alla fine respinto. Devo dire che, a dispetto dell’età forse, mi ritrovo spesso a pensare all’amore, o a ciò che gli altri decidono di definire amore. Forse ognuno di noi ne ha un’idea, profondamente influenzata dalle esperienze personale e delle persone vicine. Quel che a me sembra, dal racconto della Gamberale, è che il suo sia qualcosa che per me è molto difficile definire amore. Non nego affatto il suo senso di attaccamento alla persona, il suo smarrimento autentico quando lui se ne va, le sue emozioni profondissime quando lui torna. Ma tutto questo a me non dà mai l’idea di amore vero, dà piuttosto l’idea del terrore di ogni cambiamento, di un rifugio in un sentimento passato, di una paura incontrollabile di ammettere che si è cambiati o che ci si è sbagliati. Tutti sentimenti veri, profondi, autentici, che però non chiamo amore. Ho visto amore, non spesso ma l’ho visto, e per me è un’altra cosa.

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La donna di troppo

Protagonista di questa storia ambientata a Torino è una poliziotta privata, Zara, un tempo arruolata nella polizia scientifica. Oltre ad un’agenzia investigativa, Zara è contitolare di un locale alla moda gestito dal suo compagno, nero, il che le crea qualche (stucchevole) problema col padre. La vicenda riguarda un’indagine specifica, la scomparsa del figlio di un importante industriale. Come in ogni giallo d’azione che si rispetti, la storia si dipana tra un certo numero di colpi di scena. La scrittura procede senza intoppi, come mi piace in un giallo, scorrevole, senza troppi fronzoli, non eccessivamente incalzante e nemmeno, al contrario, con digressioni e lungaggini, che a volte creano un atmosfera, ma che più spesso mi danno fastidio. La protagonista ha una sua personalità, l’autore sa come mescolare ingredienti alla moda. Tuttavia ci sono alcune cose che non mi hanno convinto per nulla. La prima è che certi ingredienti “alla moda” sembrano un po’ troppo alla moda: di questi in un libro si dovrebbe fare un uso molto parco, secondo me. Ma la principale è che a un certo punto la protagonista mi ha dato l’impressione di essere con un livello di perspicacia ben al di sotto della media: in parecchie situazioni viene voglia di dirle se non si accorge di quel che sta per succedere, il che non è il massimo in una trama gialla. Sta di fatto che la maggior parte delle volte viene salvata, in una situazione senza apparente via d’uscita, o dall’arrivo dell’angelo vendicatore, o più spesso dalle sue doti di praticante di aikido. Sinceramente, non il massimo. Ci sorprende soltanto nel colpo di scena finale, che però appare un pochino sforzato. Devo dire tuttavia che, se si è in un periodo in cui alla lettura non si chiede di incontrare grandi libri, ma storie ben scritte e che scorrono, questo si può anche prendere in mano (o scaricarlo su Ipad…) senza poi pentirsene troppo.

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untitled

Susan Harrison era una scrittrice Canadese. Nella sua vita ha scritto un certo numero di libri, nessuno dei quali è un romanzo, tranne quest’ultimo. Quindi un’opera prima, scritta a sessantaquattro anni. L’autrice è morta poco dopo la pubblicazione del libro (il 14 Aprile 2013), avendo appena intuito che la sua opera sarebbe stato un successo editoriale. Si tratta di un cosiddetto thriller psicologico. Il titolo è molto indicativo, ed una volta tanto la traduzione italiana non violenta quello originale (The silent wife). Non parlo della trama, nemmeno un accenno, a parte l’osservazione, persino scontata, che la protagonista è una moglie che viene lasciata. Non è scorretto definirlo un giallo, anche se la storia non è ingarbugliata, non ci sono particolari colpi di scena, la scrittura scorre tranquilla, a volte persino troppo. Ma è un libro che si legge volentieri, ben confezionato e ben scritto. Lo spunto dell’intera vicenda potrebbe sembrare persino banale, ma in fondo è nelle pieghe delle vite normali che si possono nascondere cose interessanti, almeno per un bravo scrittore. Il libro poi ai miei occhi è nobilitato da una frase che per me è stata una vera folgorazione. Per questo la riporto interamente:

… Raccontare al bambino da dove viene: ha il diritto di saperlo. Mentre Jodi non ha problemi con l’offuscarsi dei fatti. Se ne traggono benefici e, comunque, alcune cose è meglio lasciarle come stanno, senza esaminarle. Non c’è bisogno di guardare in faccia la realtà se c’è una strada più dolce e garbata. Non c’è bisogno di tutta quella macabra insistenza.

Mi piace, forse, perché mi spiega che la vita può essere affrontata in maniera opposta a quella che ho sempre pensato essere l’unica possibile. Non dico che potrei fare come Jodi, dico che Jodi ha una via, legittima, e sottolineo legittima, diversa dalla mia, che credevo l’unica percorribile.

Questa frase conclude il libro. Uno dei pochi svantaggi a leggere un libro da un Kindle è che non si capisce mai che stai leggendo l’ultima pagina di un libro…uno dovrebbe avere il diritto di prepararsi. Però stavolta scoprire che dopo non c’era altro che Ringraziamenti non mi ha deluso affatto. Sono da sempre convinto che chiudere bene un libro sia la cosa più difficile per uno scrittore. Per me questo non poteva finire meglio, una frase splendida, che non chiude la vicenda umana raccontata, forse, ma che chiude magistralmente la storia.

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Italia

Mi piace molto leggere libri in formato ebook. E’ vero, si perde qualcosa, forse più di qualcosa, a non tenere fisicamente in mano il libro. Però la comodità di avere centinaia e centinaia di libri in mezzo chilo di aggeggio è proprio grande, unica. Senza contare il fatto che tra un po’, quando il libro cartaceo diventerà raro e prezioso, si sarà forse reso anche un servizio alle foreste, colla diminuzione drastica di richiesta di cellulosa… Inoltre nel momento in cui un ebook ti incuriosisce, in genere dopo meno di un minuto può già essere sull’Ipad, pronto per essere letto. Questo è un bel vantaggio, ma come in tutte le cose ci possono essere effetti collaterali meno positivi. Uno di questi, certamente, è il fatto che spesso quando comincio a leggere un ebook non ricordo assolutamente perché si trova sull’Ipad. Una promozione su Amazon? Una recensione in uno dei miei siti preferiti? In fondo però, quando si comincia a leggere, tutto questo diventa irrilevante.

Dunque, ecco un altro, l’ennesimo, libro che nasce per narrare una storia di un condominio. A ben vedere, c’è forse da stupirsi che non ce ne siano di più, visto che il microcosmo condominio in effetti ben si adatta al racconto. E devo subito dire che, tra i tanti che ho letto, questo mi è parso particolarmente ben riuscito. Lettura estiva, certamente, niente di troppo impegnativo, nessun intellettuale lo metterebbe nella lista dei dieci libri che hanno importanza per lui, lista che sta impazzando su Facebook, ma mica si deve leggere sempre e solo libri destinati a diventare classici. Una storia gialla, ma all’acqua di rose, raccontata con stile e leggerezza, e la parola leggerezza in questo caso ha una valenza assolutamente positiva. Insomma, consigliato a chiunque voglia conoscere un autore giovane, e leggere un libro piacevole e ben scritto.

A conclusione (che arriva dopo parecchi giorni dall’inizio, ogni tanto soffro di picchi di pigrizia) posso dire che credo proprio di aver preso questo libro dopo averne letto la recensione nel mio blog preferito.

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I protagonisti di questo libretto sono tre: uno psichiatra, un matematico che è convinto di essere Riemann, e, ovviamente, la matematica. Il narrante è lo psichiatra, che vuole raccontare la storia di uno dei casi più singolari che gli siano capitati, giunto al termine della sua esperienza professionale e soprattutto dopo la morte del secondo protagonista, il matematico Ernest Love. Col quale si era comunque accordato di raccontare, un giorno, la sua storia singolare: questa. Lo psichiatra un giorno viene convocato d‘urgenza da un misterioso e potente personaggio, che lo invita in maniera pressante a occuparsi del matematico, in apparenza improvvisamente impazzito all’annuncio che finalmente qualcuno era riuscito a dimostrare la congettura di Riemann. Non appena saputa la notizia, Love si convince di essere Riemann, il che tra le altre cose permette all’autrice di rivisitare un poco la vita del grande matematico. Il libro quindi è la narrazione degli incontri, dei colloqui, delle giornate che Love e lo psichiatra passano assieme. La scrittura scorre piacevole: l’autrice sa maneggiare la penna (o forse si dovrebbe dire che usa word con proprietà) e, come accennavo prima, si tratta di un testo agile che si legge in un paio d’ore. Tuttavia, a me non sembra che sia un libro riuscito. Lasciamo stare tutti gli stereotipi sulla matematica che francamente sono un po’ ripetitivi; lasciamo anche perdere tutta la fragilità della storia raccontata, sia perché non credo proprio che esista uno psichiatra che lascia in un secondo baracca e burattini per dedicarsi a una sola persona, sia per la presenza del misterioso personaggio, con i suoi loschi (e francamente poco credibili) interessi sulla questione. E non contesto la poca plausibilità della storia, dal punto di vista matematico, perché non credo sia un delitto piegare la matematica alle esigenze narrative. Però si arriva alla fine, o meglio sono arrivato io alla fine, con l’idea di non aver proprio capito il significato della storia. Che cosa ha voluto raccontarci l’autrice del libro? Credo che si possa essere divertita a curiosare nel mondo della matematica e dei matematici, e pazienza se intervengono gli scontatissimi Eulero e Gauss (apprezzata invece la sorprendente e fugace apparizione di Persi Diaconis), ma per scriverne poi un libro, a mio avviso, avrebbe dovuto sostenerlo con una trama e un disegno un po’ più trasparenti e credibili.

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Morchio

Infine l’ultimo trittico di gialli. Diversi da quelli che vedono per protagonisti Alice e Lolì. Siamo molto più sul classico, qui il protagonista è Bacci Pagano, investigatore privato in quel di Genova, figlio di partigiani ex-combattenti, 5 anni (ingiusti) di galera per fatti di terrorismo. Ovviamente con i suoi tratti caratteristici, ma siamo nella scia dei tipici investigatori, che siano privati o poliziotti. Cinici, disillusi, apparentemente sfigati in amore, ma rimediano sempre qualcosa…insomma, nulla di veramente nuovo. Morchio scrive bene, la sua è una scrittura matura e consapevole. E regala a un genovese emigrato autentici gioielli descrittivi e finezze linguistiche (a brettio, patiscimini, fiammenghilla, rebigo, spantegare…), nonché squarci sul suo passato: da Lino in Piazza Alimonda non solo Bacci e il suo giro si sono presi qualche ciucca a base di aperitivi indimenticabili. Difetti? A me le trame, soprattutto dei primi due, sono sembrate molto fragili, a volte un po’ troppo ingarbugliate, forse poco credibili. So che la realtà supera la fantasia, so che di cose poco credibili è piena la vita, ma rimane il fatto che da un libro ti aspetti che ti faccia credere a quello che racconta, anche se poco realistico. Certamente l’ultimo che ho letto da questo punto di vista mi pare meglio dei primi due. Mi capiterà certamente di leggere ancora Morchio, e lo farò con piacere. Però almeno al momento mi divertono di più le giovani poliziotte (o aspiranti tali) come Alice e Lolì.

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gazzolaAncora un trittico di gialli, questa volta la protagonista femminile è Alice Allievi, una specializzanda in medicina legale. Forse per averli letti in sequenza, è naturale fare un paragone tra Alice e Lolì. O forse tra le due autrici… Come nel caso dei libri della Genisi, anche qui il fatto che la protagonista sia una giovane donna, inizialmente almeno un po’ impacciata, ma comunque intelligente nonostante le apparenza a volte siano contro di lei, rende la lettura piacevole e il personaggio simpatico. Le vicende si dipanano con sufficiente chiarezza, anche se a volte si attorcigliano un po’, sentimenti ed emozioni sono trattati in maniera garbata, forse a volte un po’ superficiale. Non sono libri imperdibili, ma nemmeno ci si pente di averli letti, soprattutto in un’ estate che proprio non riesce a decollare. Comunque, se devo fare una scelta, io sto senz’altro con Lolì, per la quale è evidente che nutro una grandissima simpatia.